lunedì 24 ottobre 2016

Zero pensieri, troppe parole

Siamo purtroppo ormai abituati, per non dire assuefatti e anche rassegnati, al quotidiano sperpero di parole diffuse a piene mani da chiunque sia in grado di digitare su una tastiera, fenomeno che i demagoghi trionfalmente hanno ribattezzato democrazia della Rete mentre ad una occhiata anche sommaria appare invece nient'altro che una sorta di "liberi tutti" mascherato da libertà di espressione. Ma l'ultima settimana è stata forse la peggiore, per la quantità e la "qualità" di commenti e reazioni in parte scatenate dagli eventi in corso, in parte conseguenti a prese di posizione esasperate perchè indifendibili razionalmente. E siccome ogni tanto è necessario fare un punto per capire dove siamo e come stiamo, il catalogo è questo:

Nuovi mostri: una pletora disumana ed incattivita di minus habens che ha preso di mira Bebe Vio, rea di essere stata invitata da Renzi alla cena alla Casa Bianca, dimostrando che non solo al peggio non c'è davvero fine ma soprattutto che l'odio coltivato come stile di vita crea cortocircuiti mentali che portano individui fisicamente sani ma mentalmente ottenebrati ad invidiare chi è stato pesantemente ferito nel corpo ma ha sviluppato magnificamente la testa. Chiedersi come siamo arrivati ad una tale deriva, non è una domanda retorica ma una precisa richiesta di analisi sociale ed anche politica, che dovrebbe essere seguita da una chiara assunzione di responsabilità. I seminatori di odio non hanno agito da soli, il loro vuoto strepitare è stato amplificato quotidianamente da un circo mediatico che campa perlopiù di risse e volgarità assortite, salvo tirarsi indietro fingendo uno sdegno posticcio e tardivo quando emergono i risultati desolanti della grancassa offerta ai ciarlatani.
Mai come ora, sarebbe necessario, opportuno ed eticamente rilevante tracciare una linea netta e del tutto priva di ambiguità tra diritto di cronaca e il buttarla in caciara per mezzo punto di audience in più. Non abbiamo mai avuto tanti talk show politici in tv come adesso, non siamo mai caduti in basso come adesso. Le due cose sono strettamente collegate, e prima se ne prenderà atto meglio sarà per tutti. La libertà di espressione è una grande responsabilità, come tale va rispettata, non svenduta sulla pubblica piazza per compiacere le tricoteuses assetate del sangue altrui.

Pseudo femministe rancorose: una schiera di erinni con la bava alla bocca che si è avventata contro Agnese Renzi, pretendendo non solo di farle la morale e di insegnarle a vivere secondo presunti dettami di correttezza, ma addirittura di stabilire con ferrea determinazione i paletti entro cui le sia consentito muoversi, a loro insindacabile giudizio, si intende. Da una attenta analisi di molti livorosi post sui Social, abbiamo evinto che:

- Agnese Renzi non dovrebbe lavorare, perchè ruba il posto a chi ha bisogno. Se proprio insiste a voler rubare il posto altrui, non dovrebbe accompagnare il marito in visita ufficiale, e mai e poi mai parlare con i propri alunni di codeste immorali attività extra scolastiche che corromperebbero irrimediabilmente giovani menti giustamente convinte che Pinochet sia venezuelano perchè l'hanno letto su Facebook in un post di Di Maio
- Agnese Renzi dovrebbe vergognarsi di essere stata precaria per molti anni e di essere entrata per concorso a scuola, ma soprattutto di non aver capito con almeno dieci anni di anticipo che suo marito sarebbe diventato Presidente del Consiglio e di non aver rinunciato a priori a costruirsi un percorso professionale del tutto inutile invece di fare la mantenuta in attesa di tempi migliori
- Agnese Renzi dovrebbe andare dal chirurgo plastico a rifarsi il naso come una Minetti qualunque, perbacco, invece di ostinarsi a portare a spasso la sua faccia al naturale, con incredibile mancanza di dignità
- Agnese Renzi dovrebbe vestirsi con un sacco e la cenere sopra il capo, modello penitente medievale, altro che promuovere il Made in Italy in giro per il mondo
- Agnese Renzi dovrebbe divorziare subito, anzi avrebbe già dovuto farlo da anni, il fatto che sia ancora accanto a suo marito dimostra solo il suo colpevole asservimento ai poteri forti ed alla lobby del maschio dominante

A corollario di questa imbarazzante esibizione di meschinità assortite, si può solo dire che se lo stato dello pseudo femminismo d'accatto in Italia è questo, se ne può fare serenamente a meno. Meglio ammettere con onestà che non abbiamo ancora superato l'ostilità feroce verso le altre donne, viste tutte come potenziali nemiche da abbattere, e tornare a coltivare con impegno rancori personali invece di continuare a spacciarli per improbabili moti di riscatto della categoria femminile. Ognuna per sè e si aprano le ostilità, chè di questa invidia pelosa e livida si può solo morire, e fra atroci sofferenze.

Teorici del nulla: vasta schiera di analfabeti funzionali sdoganati dal grillismo, ma anche dal salvinismo, pronti a lanciarsi in ogni campo dello scibile umano in preda ad un moto del tutto ingiustificato di autostima che li porta a credere di potersi pronunciare su tutto senza sapere nulla. Il danno prodotto da costoro è enorme, quantificabile in una percezione sempre più distorta di concetti fondamentali come bene comune, rilevanza sociale, etica politica, ormai ridotti a caricature abnormi e del tutto prive di aderenza al reale create appositamente come comodo specchio nel quale riconoscersi con compiacimento. Il risultato è evidente, nel desolante abbassamento del confronto quotidiano dove siamo costretti a spalare il fango sparso a piene mani da costoro, invece di riportare in primo piano le questioni di principio, di merito, di diritto, tutti concetti ormai stravolti, centrifugati e svuotati da questa incredibile macchina che ingoia tutto e restituisce solo sputi, quando va bene.
Avendo abolito ogni categoria di merito, questo è ciò che ci ritroviamo, con il colpevole concorso di decenni di politica corporativa e non selettiva, e di una stampa che strizza l'occhio a questi vandali invece di respingerli al mittente, nella vana quanto illusoria speranza di farseli amici e, perchè no, clienti affezionati.
Il dibattito sul referendum ha avuto l'effetto di una potente amplificazione, facendo emergere tali e tante espressioni di ignoranza, di settarismo cieco ed ottuso, di vero e proprio odio sociale, da capovolgere ogni punto di riferimento: siamo arrivati al paradosso di dover spendere le giornate a smontare le bufale prodotte in quantità da gente che non ha alcun argomento su cui fare leva, invece che confrontarci sui contenuti reali delle questioni in discussione.
Ma, alla fine, non era forse questo l'obbiettivo degli pseudo-guru che hanno scatenato questa offensiva della menzogna, non avendo idee da promuovere?
E quanto tempo, fatica, impegno, serietà e credibilità saranno necessarie per rimontare questa china fino a rivedere la luce del sano confronto di idee?
Anche questa è materia referendaria, ci impone di scegliere da che parte stare, se accodarsi alla massa becera ed urlante oppure sostenere un faticoso cammino di cambiamento, che ci faccia finalmente evolvere verso un sistema democratico più maturo dove sia la testa e non la pancia a prendere decisioni.
Perchè se questa bolgia di scempiaggini buttate nel mucchio e propalate per mero atto di fede nel personaggino di turno, se questa fede acritica nell'impossibile spacciato per realizzabile, se questa cieca e stolta ignoranza coltivata con tenacia avranno la meglio, il problema non sarà più avere o meno il bicameralismo perfetto, ma lasciarsi governare da una dittatura degli insipienti livorosi spacciata per democrazia popolare.
Pensateci su.

ChiBo

lunedì 10 ottobre 2016

Trump, l'effetto e la causa

Ormai, il dejavù impera. In qualunque competizione elettorale di qualche rilevanza nazionale o internazionale, assistiamo al ripetersi di un copione visto e rivisto mille volte da almeno un paio di decenni, che potrebbe riassumersi nell'altrettanto logoro ma purtroppo sempre valido esempio degli stolti che guardano al dito invece che alla luna.

Poco importa se il soggetto della discussione si chiami Berlusconi o Trump, quello che colpisce, e sconforta, e fa cadere le braccia, è il perpetuarsi di un meccanismo ostinato di rimozione del problema che preferisce vestirsi di anti-qualcuno invece che attivare analisi e risposte a favore di qualcosa. Specificamente, di soluzioni politiche efficaci e mirate, anche a costo di ripensamenti tanto dolorosi quanto necessari.

La campagna presidenziale americana, data la portata mondiale del suo esito, è solo il palcoscenico più vasto di una storia che ormai si ripete da tempo, e sembra costretta ad avvitarsi su se stessa, declinandosi in molte versioni che, di diverso, hanno solo il nome del candidato di turno elevato a pietra dello scandalo e ad oggetto del pubblico ludibrio, senza mai andare al cuore del problema.

Lo abbiamo visto bene in Italia, dove abbiamo vissuto vent'anni di antiberlusconismo sterile, isterico e giustizialista piuttosto che fermarci a chiedere quali colpe avesse la politica - tutta la politica, nessuno si senta escluso - nell'aver generato quel fenomeno. Berlusconi era l'effetto, non certo la causa, l'ultima decadente devianza di una politica chiusa in se stessa, del tutto autoreferenziale, completamente isolata, per propria arrogante volontà, dal rapporto con i cittadini, sprofondata nella palude del consociativismo spinto alle estreme conseguenze in modo che tutti fossero egualmente compromessi e quindi nessuno potesse legittimamente chiamarsene fuori.

Questa politica, del tutto priva di slancio, di coraggio, di progettualità, di idee e, non sia mai, di ideali al di fuori del rafforzamento e della conservazione di decennali rendite di posizione, fu presa di infilata da un demagogo affabulatore che ebbe l'unica felice intuizione nel presentarsi come l'uomo nuovo perchè nato fuori da quella stessa politica che in realtà lo aveva fatto nascere e prosperare. E gli isterismi di coloro che ne furono seppelliti, in termini di voti, e seppero reagire solo appellandosi a presunte e del tutto infondate superiorità morali da maestrini del rigore intellettuale, tentando di farlo fuori solo per vie giudiziarie e di pubblico discredito, non fecero che allungare la vita di una forza politica che in realtà aveva la stessa consistenza di un ologramma.

Abbiamo vissuto vent'anni di paralisi intorno a questo falso problema, quando quello vero era dato da due fondamentali tematiche: una sinistra vecchia, ancorata al passato ed incapace di darsi un afflato riformatore necessario ad affrontare le sfide del nuovo millennio; una destra moderna mai nata, incapace di uscire dallo stereotipo dell'uomo forte al comando, soprattutto del tutto priva di una intelaiatura culturale in grado di produrre contributi validi per il confronto politico.

Oggi, vediamo negli Stati Uniti il ripetersi dello stesso schema. Trump divide e suscita reazioni opposte, ma di pari intensità agonistica nell'odio o nella ammirazione con cui vengono formulate, ma di fatto anche lui è solo una conseguenza, e non certo la causa, di una situazione che si trascina da anni. La crisi profonda che attanaglia il partito repubblicano ormai da molto tempo è evidente e non da ora, la scelta di candidati del tutto inadeguati come Mac Cain e Romney, l'ascesa di personaggi duraturi come meteore, tipo la Palin o anche il presunto astro nascente ma mai cresciuto davvero Cruz, la deriva estremista dell'ala teocon saldata a quella dei teaparties, la sempre più pesante dipendenza da lobbies dominanti come quella dei fabbricanti di armi, hanno logorato e consumato dall'interno un partito che non sembra più in grado, se non in alcuni stati profondamente conservatori per non dire retrivi, di proporsi con credibilità alla guida della nazione.

Trump non ha fatto altro che approfittare di questa debolezza malata per salire sul palco, sapendo che non avrebbe avuto rivali. Ma la colpa non è sua che, anzi, ha fatto un calcolo preciso e pragmatico facendo tornare i propri conti. La colpa è di un partito talmente svuotato di contenuti politici, e sopratutto di capacità di progettazione e di visione strategica, da subire un candidato autoimposto, non avendo la forza intellettuale e culturale di produrne uno migliore, avendo completamente fallito nella ricerca e nella valorizzazione di risorse umane interne.

Che Trump sia nient'altro che un rozzo volgare cialtronissimo demagogo, è evidente. Che sia maestro nel dare il peggio in termini di razzismo, sessismo, populismo, anche. Ma che la ribalta gli sia stata offerta senza colpo ferire e senza opporre resistenza alcuna da un partito repubblicano ormai consunto e logoro è altrettanto chiaro. E se è vero che la Clinton non è la migliore dei competitors, è anche vero che il partito democratico in questi anni ha affrontato alla guida del paese la peggiore crisi economica mai vista, il terrorismo interno, la continua tensione razziale, mai sopita, persino i diritti civili, senza tirarsi indietro e senza fare leva sulla becera demagogia che pare l'unica risorsa rimasta invece ai repubblicani.

Dunque, anche qui la crisi non è data dalla malattia, ma dal sintomo che l'ha generata. E come accade in ogni democrazia, anche per quella americana la mancanza di una reale alternanza fondata su un efficace confronto politico è un danno, destinato solo a produrne altri. Passerà Trump, come passano gli uragani che esauriscono in breve tempo la loro portata distruttiva, ma resteranno, temiamo a lungo, tutti gli effetti devastanti prodotti dal suo cammino, finchè i repubblicani non saranno in grado di uscire dall'angolo dove si sono rinchiusi da soli, di lasciare fuori dalla porta gli estremismi, e di ricominciare a pensare in termini di strategia costruttiva per il bene comune. Che poi è ciò che chiede e che vuole la politica, quella vera.

ChiBo

lunedì 26 settembre 2016

Non è la Rai 2.0 (fenomenologia della sindaca grillina)

E finalmente, dopo mesi di lunga ed attenta osservazione del personaggio, la convention palermitana dei Cinquestelle ci ha permesso di comprendere appieno la vera natura di Virginia Raggi. Ci voleva che salisse su un palco per illuminarci, perchè quello è il luogo dove riesce a rivelarsi compiutamente e senza possibilità di fraintendimenti.

Quando è comparsa alla ribalta, in jeans e maglietta, e con quella sua vocetta querula, da doppiatrice di bambini nelle pubblicità, ha infilato una serie di "bello, bellissimo, molto bello" arrotolandosi vezzosamente la ciocca di capelli col ditino, dopo aver saltato e ballato in mezzo alla folla che malmenava i giornalisti, la nuova Ambra che è in lei si è appalesata in tutta la sua imbarazzante pochezza, mentre ridacchiava senza riuscire a mettere due parole in fila e e poi batteva i piedini per difendersi dall'accusa di avere le orecchie grandi.

No, non è la Rai, non più quella irridente di Boncompagni che esibiva il fondo del barile della televisione, dimostrando che una qualunque ragazzina dotata di auricolare e telecomandata a dovere poteva fare ascolti da record sul nulla. Questa è la nuova edizione targata Grillo, un Non è la Rai duepuntozero, che scova sconosciuti sul Blog e ne fa deputati e sindaci da lanciare sulla ribalta politica senz'altra consistenza che la loro riconosciuta insipienza.

Nel magico mondo grillino, infatti, non occorre alcun talento o preparazione per emergere, i Cinquestelle sono l'ultima frontiera del talent show, quella che crea dal nulla personaggi che si distinguono solo nella gara a chi dice o scrive le scemenze più grosse, acclamati da una setta di adepti del tutto acritici ed assuefatti che vedono nei loro eroi la perfetta riproduzione di se stessi. Il nulla al potere, e così sia.

In questi anni, abbiamo scoperto una vasta galleria di figurine del genere, ognuna specializzata nel lancio delle parole a caso e nel sostegno a teorie del tutto campate in aria, ma con Virginia Raggi si è giunti alla sublimazione del format facendo di una tardo-adolescente, capace solo di articolare un birignao da tredicenne antipatica in lotta con la cellulite, una star piazzata sul palcoscenico romano con il potere di prendere decisioni in grado di influenzare la vita di milioni di persone, e persino di una nazione intera, come nel caso delle Olimpiadi.

E si evince che alla fine, in sintesi estrema, l'ambizioso progetto di Grillo sia stato proprio questo sin dall'inizio: dimostrare come si possa imbastire uno spettacolo dal nulla, e farne addirittura un adattamento per la politica, solamente pescando nel vasto mare delle frustrazioni altrui e solleticando abilmente vanità sostenute solo dal velleitarismo che le ispira. Un Grande Fratello edizione speciale, non per i presunti Vippetti nostrani, ma per tentare di erodere dall'interno quel minimo di credibilità che ancora resta alle nostre istituzioni.

Se i Cinquestelle non fossero un movimento politico, di loro dovrebbero occuparsi i critici televisivi e/o teatrali, data la loro naturale inclinazione all'avanspettacolo che ne fa gli ultimi  eredi oppure gli innovatori di questo genere - e su questo si potrebbe aprire una lunga ed articolata discussione fra addetti al mestiere. Ma trattandosi invece di aspiranti candidati alla guida del nostro paese, ciò che ci assale dopo spettacoli come quello di Palermo è lo sgomento. Puro e semplice.

Se la ragazzetta querula sul palco è la sindaca di Roma, imbarazzante nella sua esibita nullità quanto proterva nella sua ambizione gonfiata a dismisura dalla folla urlante ed esaltata, possiamo solo immaginare cosa sarebbe un futuro premier espresso da questo movimento, ed averne sinceramente paura.

Ci auguriamo che la stessa paura la provino i politici, quelli di lungo corso, quelli che ci hanno governato negli ultimi trent'anni, quelli che hanno trascinato ai minimi storici la credibilità ed il ruolo della politica fino a permettere che un guitto con il suo circo a tre piste potesse riuscire a farli fuori con quattro ragazzetti ignoranti dotati di auricolare. Se la paura fa novanta, qui invece dovrebbe fare da sveglia, per suonare la fine di una politica rissosa, inconcludente, meschina che ha generato questa risposta che oggi Grillo ci sbatte in faccia con la sua consueta malagrazia.

Perchè non vorremmo vedere i prossimi anni di questo paese trasformati in un palcoscenico permanente per l'esibizione di dilettanti che gnaulano "bello, siamo belli, siete belli" mentre si fanno i selfie sullo scranno di Palazzo Chigi e del Quirinale.

ChiBo

mercoledì 21 settembre 2016

Dinosauri a Cinquestelle

È assolutamente esilarante constatare che il Movimento nato per rovesciare tutto, cambiare tutto, con una spinta iniziale più eversiva che rivoluzionaria, si sia dimostrato alla prova dei fatti il più conservatore sia nella propria azione che nella propria inazione. Ovvero, sia nelle proposte fin qui fatte che nella incapacità non solo di realizzarle ma persino di gestire la quotidianità degli impegni assunti con gli elettori.


Il ritorno al proporzionale, con conseguente ammucchiata di governo e sostanziale impossibilità di decidere alcunché, è solo l'ultima delle trovate di un gruppo nato vecchio e cresciuto solo grazie allo sfruttamento del malpancismo diffuso in vaste categorie sociali, una pericolosa arma a doppio taglio pronta a rivoltarsi contro chi l'ha affilata non appena si avvertano segnali di normalizzazione.



In realtà, tutto il fragile apparato ideologico grillino ha mostrato la corda fin dall'inizio, apparendo nient'altro che una rimasticatura superficiale e abborracciata di consunte teorie morte sul nascere, spacciate per nuove grazie all'intuizione che ha portato a fare della Rete una fogna a cielo aperto dove riversare ogni frustrazione, amplificandola fino a darle una presunta dignità di proposta politica alternativa.



Dunque, non stupisce che l'immaginifico Sibilia, dopo averci edotti nel tempo sulle scie chimiche e l'esistenza delle sirene, ed aver convocato addirittura il mago Otelma per spiegarci che la Raggi è oggetto di influenze negative esercitate da forze aliene, adesso ci ripropini la novella che stampare moneta è l'unica soluzione per risolvere la crisi monetaria. Come se il Venezuela non stesse morendo di questo, come se la moneta fosse il denaro del Monopoli - la cui assidua pratica probabilmente risulta essere l'unica nel curriculum di questo emerito rappresentante del nulla che lo ha eletto.



Non stupisce neanche che il prode scooterista Di Battista ci narri di una necessaria autarchia per tornare a consumare solo ciò che produciamo, e che la Raggi, nella sua immaginifica campagna elettorale, avesse rispolverato un altro mito caro a questi poveri di spirito, ovvero quello del ritorno al baratto come utile leva per risollevare le sorti dei negozi in crisi di vendite.



E ci fermiamo qui, con l'elenco delle scempiaggini, perchè alla fine, avendo scritto dall'inizio che dietro questo movimento c'era il nulla ideologico impastato di fuffa populista e di becera demagogia, la soddisfazione di averci visto giusto ce la siamo già presa. Insieme a quella di aver predetto la sera stessa delle elezioni che la vittoria di Roma sarebbe stato l'inizio della fine dei Cinquestelle.



Bastava metterli alla prova dei fatti, non nei piccoli comuni dove comunque hanno fatto disastri ma di scarsa risonanza mediatica, ma in una realtà di primissimo piano come quella di Roma, che non solo è all'attenzione di tutti noi quotidianamente, ma ha addirittura varcato i confini nazionali finendo sulle prime pagine di testate come il New York Times. Non è più possibile nascondere sotto il tappeto il disastro, il fallimento, la totale incapacità di gestione che sono il naturale risultato di una selezione di classe dirigente basata unicamente sulla cieca obbedienza al Movimento e sulla provata ignoranza di tutti gli aspetti, nessuno escluso, del funzionamento della macchina amministrativa ed istituzionale. 



Così come non è più possibile arginare le spinte centrifughe originate dalle correnti interne che, oh sorpresa, si sono rapidamente formate e consolidate anche nel presunto magico mondo dell'uno vale uno, precipitando in una guerra intestina e senza esclusione di colpi non appena è cominciato il più classico degli scaricabarile attorno alla figura della Raggi, passata da Madonna sull'altare a derelitta da abiurare nel breve giro di tre mesi e mezzo e qualche decina di nomine scellerate.



I sondaggi certificano un calo pesante del Movimento, attorno ai cinque punti percentuali in due settimane, ed in questo momento è veramente difficile immaginare una possibile inversione di tendenza, dal momento che tutti gli esponenti di spicco sembrano essersi messi d'accordo su un'unica strategia suicida: fare a gara ogni giorno a chi scrive la scemenza più grossa sui Social Network, scatenando non più solo l'ironia ma ormai un vero e proprio dileggio che ci porta a pensare che l'ora del dilettante sia ormai finita, e sia già suonata la campana dell'ultimo giro di pista.



Probabilmente, quando i posteri si occuperanno della storia di questi anni, dei Cinquestelle scriveranno ciò che adesso scriviamo dei Dinosauri, ovvero che sono esistititi ma si sono estinti per ragioni tuttora sconosciute, con la sola differenza che, invece, dei grillini   potranno affermare con certezza che si sono estinti facendo tutto da soli. Quindi, il loro "lasciateci lavorare" è destinato a diventare il cupio dissolvi del Terzo Millennio. E qualcuno spieghi a Di Maio che, no, dissolvi in questo caso non è un congiuntivo.



ChiBo


mercoledì 14 settembre 2016

Mission Di Maio

La congiura dei poteri forti si è finalmente rivelata in tutta la sua devastante dirompenza, volta a sovvertire ogni certezza fin qui faticosamente conquistata dal genere umano.
Per gettarci nel panico, nutrirci di sconforto, opprimerci di tristezza e tormentarci di sciocchezze fino a ridurci alla nera convinzione che nulla ci resti cui aggrapparci, ci voleva un agente letale, inoculato nelle nostre fragili vene di antichi cultori del sapere e del pensiero critico, che riuscisse a fare a brandelli quel poco di sicurezza che ancora ci restava. E fu così che venne creato Di Maio.

La selezione del gene fu durissima. I poteri forti, riuniti in seduta permanente nel Cloud della Casaleggio s.r.l, si sono sciroppati con attenzione maniacale le migliaia di video delle Parlamentarie grilline, storica lotteria che ha messo in palio l'occasione della vita, ovvero entrare in Parlamento ed accedere al magico mondo degli stipendi d'oro e dei vitalizi di platino senza saper fare assolutamente nulla ma, soprattutto, senza avere alcuna preparazione e, Dio ne guardi, cognizione di qualsivoglia settore dello scibile umano. Unici requisiti richiesti: credere alle scie chimiche, all'esistenza delle sirene ed agli avvistamenti di Elvis Presley in tutti i diners lungo la Route 66.

Una volta esclusi i collezionisti di nani da giardino, i fans dei Puffi, i pericolosissimi ex fumatori convertiti al salutismo, gli scambisti di figurine Panini, i frequentatori dei Fancazzisti Anonimi ed i pastafariani, è finalmente risultato il soggetto perfetto: uno studente fuori corso da una vita e dunque in nessun caso imputabile di sapere qualcosa, con la faccetta da Calimero fatta apposta per piacere alle mamme, un'aria da impunito che scansati ed una collezione di giacchette blu mai usate pronte per le telecamere. Perfetto per la missione, mancava solo il claim con cui lanciarlo, e fu qui che con un autentico colpo di genio il Grande Vecchio dei poteri forti, uno che spaccava computer nei teatri a beneficio delle masse plaudenti ma poi in privato con quegli stessi computer ci si arricchiva assai, grazie alle masse di cui sopra, decretò: lo chiameremo "ragazzo meraviglioso" e lo lanceremo sul mercato come il mirabolante prototipo dell'uomo del futuro, quello che non deve chiedere mai perchè non sa fare le domande ed in ogni caso non capirebbe le risposte. Figuriamoci se poi gli dovessero arrivare per e-mail.

Fu così che Di Maio entrò nelle nostre vite e le cambiò per sempre.
Prima ci tolse i congiuntivi, rendendo il nostro colloquiare un incerto vagare fra tempi dei verbi buttati là a casaccio e generando equivoci a non finire. Non si contano gli appuntamenti saltati per un "se io verrei" dai più scambiato per "io vorrei, non vorrei, ma se vuoi" che hanno causato un aumento esponenziale dei divorzi nel nostro paese.
Poi ci tolse la Costituzione, martellandoci ad ogni esternazione con la novella del Premier "non eletto" invece di confessare di non aver mai sostenuto l'esame di Diritto Costituzionale, avendolo scambiato con un credito in Fenomenologia della Supercazzola applicata alle masse.
Di seguito rovinò per sempre l'onesta professione di Webmaster, fin lì l'unica attività di cui si era autoaccusato, confessando la sua totale incapacità di comprendere il contenuto delle e-mail ricevute.
Infine il doppio colpo da maestro con cui è riuscito a far fuori contemporaneamente la storia e la geografia, piazzando Pinochet in Venezuela, che è bella eh, per carità, ma io non ci vivrei mai, troppo umida e inzeppata di gondole e turisti.

Così ci ha messi in ginocchio: privi di grammatica e sintassi, del tutto incerti sulla Costituzione, disancorati da ogni riferimento geografico, derubati della memoria storica, ormai alla deriva in un mondo che di colpo ci risulta ignoto ed incomprensibile, vaghiamo alla ricerca di Raggi di luce. Che, si sa, son come gli assessori al bilancio a Roma: a trovarli.......

ChiBo