sabato 27 giugno 2015

Per tacere della Costituzione.....

Nel gran circo mediatico immediatamente andato in scena subito dopo la sentenza della Corte Suprema statunitense che ha stabilito la marriage equality, i Social hanno naturalmente fatto la parte del leone, permettendoci di comprendere con lodevole chiarezza il gioco delle parti in causa.
Nella fattispecie, esponenti a vario titolo - personale o lobbistico - del variegato mondo che ruota intorno al Family Day, alle Sentinelle in piedi, e ad altre organizzazioni militanti di stretta osservanza cattolica, si sono tutti distinti per un particolare che la dice lunga, anzi lunghissima, sulla questione di fondo, mai dichiarata apertamente ma di fatto praticata con ogni mezzo, che realmente li separa per loro stessa volontà dal resto del mondo.
Lanciandosi infatti nel solito repertorio di anatemi contro il conformismo a presunte mode moderniste e l'altrettanto presunto strapotere della Lobby Lgbt, costoro hanno accuratamente evitato di commentare, o anche solo nominare, il principio che ha invece ispirato la sentenza della Corte Suprema, ovvero il rispetto della Costituzione americana che dichiara tutti i cittadini uguali nei loro diritti individuali sacri ed inviolabili, e dunque non consente discriminazioni di alcun genere che costituirebbero una palese violazione di tale principio di eguaglianza. Questo in un paese che sa benissimo a quali abusi abbia portato il mancato rispetto di quel principio, dallo schiavismo alla segregazione razziale, ed ha imparato dai propri errori a capire che il diritto è tale solo se vale per tutti, altrimenti si riduce a privilegio di pochi a danno di tutti gli altri.
Ora, lo "scandalo" su cui i nostri paladini della "verità" tacciono accanitamente - dimenticandosi di qualcuno che pure disse "oportet ut scandala eveniant" - è tutto qui, ovvero nel richiamo e nel rispetto della Carta Costituzionale da cui essi, e non da ora, si chiamano fuori, come se essere cittadini appartenenti ad una comunità che si è data regole e principi condivisi atti a tutelare tutti, e non solo alcuni, fosse cosa del tutto secondaria se non addirittura accessoria, nelle loro esemplari vite di testimonianza dell'esclusività.
L'approccio al tema della omosessualità è del resto la prova evidente di questo sentire, derivante dalla appartenenza ad una fede religiosa che si configura come una conventio ad excludendum che ragiona in senso diametralmente opposto a quello seguito dal diritto. Ovvero: io ti accolgo - e si ragioni sulla sottile ma dolente differenza fra accogliere ed accettare - solo a patto che tu rinunci a vivere secondo ciò che sei, che tu accetti di vivere in eterna castità e dunque privo per sempre di una vita affettiva, sulla base del presupposto che sei programmato all'errore perchè diverso dall'eterosessuale. Quindi, una accoglienza basata non sulla accettazione, che è l'unica vera caratteristica dell'amore, ma sulla limitazione. Una accoglienza condizionata, basata oltretutto sulla arrogante e proterva convinzione di poter decidere della vita di una persona fino al punto di negargli di esprimere appieno la propria affettività, considerata un "peccato".
Ora, sarebbe oltremodo facile sottolineare il paradosso per cui questi stessi ortodossi esegeti del verbo divino scendono in piazza, reclamando a gran voce i diritti loro spettanti come famiglie tutelate dalla Costituzione, intanto che non hanno alcun rispetto di quella stessa Carta che, prima di tutto - e giova ripeterlo, prima di tutto - stabilisce l'uguaglianza dei cittadini nei diritti che invece costoro son così pronti a negare, sovrapponendo le loro personali convinzioni religiose a quelle dello stato e pretendendo anche di averla vinta. Sognano uno stato confessionale dove poter rappresentare se stessi come i migliori e dunque i decidenti, a scapito di tutti gli altri, marchiati come imperfetti e dunque marginali. Anime semmai da redimere, purchè disposte a negare se stesse, ma mai in nessun caso da riconoscere eguali.
Lo strumento, per quanto imperfetto, della democrazia è ciò che ci ha permesso, dopo un lungo, faticoso, doloroso e sanguinoso cammino attraverso secoli di storia, disseminato di abusi, sopraffazioni, discriminazioni e vessazioni di ogni genere, di arrivare a stabilire una Carta dei diritti dell'uomo e di avere Costituzioni che, prima di tutto, stabiliscono il rispetto di questi diritti per tutti, non solo per alcuni. Una società fondata sulla diseguaglianza e sulla discriminazione poggia sull'esclusione, fomenta l'odio e l'intolleranza, tutte cose che abbiamo sperimentato per secoli e di cui abbiamo potuto toccare con mano tutte le nefandezze prodotte. Negare oggi le ragioni basilari del principio di eguaglianza dei diritti, non è dunque solo una battaglia di retroguardia, che potremmo persino guardare con indifferenza, ma implica qualcosa di più profondo e pericoloso, una sorta di schedatura genetica, una rigida contrapposizione fra "normali" ed "anormali" dove, peraltro, solo i "normali" hanno scritto le regole mentre gli altri non hanno alcuna voce in capitolo.
Oltretutto, secondo una dottrina che, nei secoli, sia pure con estrema lentezza, emenda se stessa dai propri colossali errori, attraverso questa pratica introdotta dagli ultimi Papi ovvero quella del chiedere perdono, per quanto tardivo, a coloro che furono perseguitati, discriminati, uccisi, in nome di principi un tempo ritenuti sacri e che oggi risultano invece palesemente errati ed insostenibili.
Il che non esclude che, fra qualche secolo, un Papa possa chiedere perdono anche agli omosessuali per aver negato i loro diritti individuali e, peggio, di poter vivere una vita affettiva invece della castità a vita imposta come condizione vincolante per essere accolti - accettati, no. Ad oggi, non possiamo saperlo, neanche i valdesi, probabilmente, avrebbero mai creduto di sentirsi chiedere perdono, prima o poi, cosa che invece è accaduta, anche se con sette secoli di ritardo.
E mistificare la battaglia contro i diritti individuali per una battaglia in difesa della famiglia cosiddetta "naturale" è solo l'ennesima dimostrazione di quali scorrettezze si sia disposti a mettere in campo. Perchè l'uguaglianza nei diritti individuali precede ogni altra configurazione sociale, ed attaccarla come espressione di meschino individualismo, cavallo di battaglia caro agli integralisti di casa nostra, serve solo a comprendere meglio il nocciolo della questione, ciò che da sempre fa più paura ai fondamentalisti di ogni genere ovvero: la libertà di scelta che ognuno di noi possiede e che è la vera ed unica discriminante per distinguere una democrazia da un regime.
Si è liberi di scegliere se avere o meno una fede religiosa - e se ne hai una, la tua libertà di praticarla è garantita - si è liberi di scegliere di amare e chi amare, ma soprattutto si è liberi davvero solo se questa libertà appartiene a tutti in egual misura, attraverso i diritti fondamentali che rendono ognuno di noi uguale altri altri nella tutela della propria libertà di scelta.
Va da sè che questa opzione è pericolosissima, perchè ci emancipa dal ruolo di minus habens bisognosi di stare sotto tutela altrui e di essere guidati, e ci impone la responsabilità più grande, ovvero quella di gestire la nostra libertà di scelta da soli, e di farlo con consapevolezza e senso del rispetto verso le libertà altrui. Ma senza questa enorme responsabilità, di cui vorrebbero privarci costoro che sostengono amorevolmente di farlo per il nostro bene - lo stesso per cui misero in piedi l'Inquisizione - saremmo solo burattini eteroguidati, incapaci di decidere da soli cosa fare delle nostre vite, condannati a seguire un copione già scritto da altri e senza alcuna possibilità di uscirne.
Quindi, se c'è una ragione per rallegrarci della sentenza della Corte Suprema statunitense, questa sta, prima ancora che nel contenuto che ha espresso, nell'averci ricordato il valore fondamentale di una Costituzione che riconosce tutti i cittadini uguali in virtù degli stessi diritti. E chiunque intenda affrontare un dibattito su qualunque tema prescindendo o censurando o dimenticando o, peggio ancora, condannando questo principio come espressione di individualismo, non è solo in malafede ma procura un danno a tutti noi, negando il fondamento necessario ed imprescindibile che ci permette di vivere in una comunità dove ognuno è diverso in ciò che è ma è uguale in ciò che può fare, decidere, avere, costruire, scegliere.

ChiBo

P.s qualche tempo fa, la sottoscritta ha avuto una interessante discussione in tema di diritti con una coppia, marito e moglie, oggi attivamente inserita nelle Sentinelle in Piedi. A proposito dell'imposizione agli omosessuali della castità come vincolo per essere accolti nella Chiesa, essi mi risposero che è lo stesso vincolo imposto a tutti. Dunque, chiesi loro se fossero arrivati vergini al matrimonio, in perfetta coerenza con i loro principi. La levata di scudi fu immediata, certo che non si erano sposati vergini, e la motivazione data meravigliosa: "ah vabbè, su questo la Chiesa deve aggiornarsi, lo sappiamo". Ecco, perbacco, per la castità degli eterosessuali bisogna aggiornarsi, per quella degli omosessuali no. Tutto chiaro?!

lunedì 1 giugno 2015

Destra senza centro, Pd senza sinistra

Sarebbe buona cosa provare a ragionare sui risultati di questa tornata elettorale invece di ridurli al solito destino della coperta tirata da troppe parti, e dunque alla fine destinata a non coprire nessuno. Al di là del solito diluvio di dichiarazioni, spesso vaneggianti, e di interpretazioni del tutto infondate di numeri che, in quanto tali, alla fine più di tanto non possono essere relativizzati e quindi sminuiti nel tentativo di piegarli alle diverse cause, alcune considerazioni paiono essere evidenti.
Destra senza centro: per quanto Toti si sia subito affannato a dichiarare che non si presterà ad una lettura della sua vittoria in termini di numero di voti portati alla coalizione dai singoli schieramenti che la compongono, è innegabile che in Liguria, come nelle altre sei regioni in cui si è votato, il risultato lo abbia fatto Salvini insieme alla Meloni, mentre Forza Italia è in preda ad un inarrestabile deflusso di voti. Dunque, sparisce il centro e si afferma la destra, una destra marcatamente antieuropeista, xenofoba, populista e nazionalista che ha fatto una campagna elettorale  urlata e becera, volta ad amplificare ed addirittura sollecitare il malpancismo generico e le paure sociali senza portare, sia chiaro, alcuna risposta concreta in termini di progetto politico. Il che paga sul momento, ma pone interrogativi sul medio e lungo periodo, soprattutto pensando alle prossime elezioni politiche dove, con la nuova legge elettorale, non ci saranno colazioni ma liste singole.
Dunque, il problema a destra è chiaro e di non facile soluzione, perchè stando così le cose, con Forza Italia in dissolvimento, la lista unica dovrebbe giocoforza prevedere Salvini candidato premier e tutti gli altri dietro a lui. Difficile però immaginare una tale dissoluzione del fu centrodestra in un'unica formazione di destra che non ha nulla di moderato e che invece, per avere almeno una chance di vittoria, dovrebbe avere la capacità di attrarre i milioni di voti persi da Forza Italia. Da questo punto di vista, politicamente parlando, la difficoltà più grande sta tutta a destra, e per quanto Salvini oggi faccia il gradasso, affermando di essere l'unica alternativa a Renzi, in realtà con i numeri che ha raccolto a livello nazionale deve prima vedersela con i Cinquestelle, che potrebbero anche andare al ballottaggio alle politiche, ma prima ancora deve riuscire a trovare una formula - ad oggi francamente inimmaginabile - per tenere insieme tutte le forze della sua parte.
La questione è spinosa: se annacqua il suo messaggio, per tentare di rendersi gradito all'elettorato moderato, Salvini rischia di perdere terreno a destra, ma se continua a spingere sul pedale del più becero populismo, resta fermo ai numeri di oggi ed oltre non va. Trovare la quadratura del cerchio è dunque il suo vero e gravoso compito, a dimostrazione che quando si spinge sugli estremi poi è difficile tornare indietro e recuperare credibilità su un terreno meno incline alle urla e più sensibile alle proposte argomentate.
Pd senza sinistra: di segno opposto, e quindi speculare, la situazione a sinistra, dove il Pd si conferma comunque il partito trainante, mentre la sinistra alla sua sinistra, dove si è presentata, ha raccolto numeri buoni solo a fare danni, non certo a vincere, con buona pace di Civati che vede praterie dove invece ci sono solo sentieri sempre più stretti per coltivare livori personali, rese dei conti interne e rendite di posizione sempre più esigue. Significativo in questo senso il 6,28% raccolto in Toscana dalla lista della "vera sinistra" che pure prometteva sfracelli a discapito del Pd.
Ma una lettura critica ed analitica di questo risultato va fatta, ed è tutta interna alle scelte del Pd, da cui ci si aspettava, con buona ragione,  candidature che marcassero  con evidenza il rinnovamento della classe dirigente sui territori invece della riproposizione di volti e nomi provenienti dalle precedenti legislature oppure, come nel caso della Moretti in Veneto, il frutto di un calcolo sbagliato fatto sull'esito del voto alle europee di un anno fa.
Ora, sarebbe ridicolo - anche se in queste ore è un luogo comune ampiamente abusato - negare l'evidenza dei numeri; in dodici mesi, in due tornate di elezioni regionali, il Pd si è aggiudicato dieci regioni su dodici, e giova ricordare che invece si partiva da una situazione di sei a testa, con buona pace della Ditta delle non vittorie, quindi la segreteria di Renzi, da questo punto di vista, può essere senza dubbio considerata vincente.
Ma è fuor di dubbio che il rinnovamento sui territori è ancora un progetto da costruire e da realizzare, mentre, per contro, giunge un messaggio forte e chiaro dagli elettori, ovvero che le rendite di posizione non pagano più, che le candidature nate per consuetudine, appartenenza e cooptazione hanno fatto il loro tempo e non sono più garanzia di successo, anzi, al contrario, suscitano insofferenza nel loro manifestare continuità con il passato e producono sconfitte che lasciano il segno. Il caso della Paita, in Liguria, ma anche la faticosissima riconferma della Marini, in Umbria, sono segnali nettissimi e non ignorabili della necessità di lavorare molto ed in profondità sulla costruzione di una nuova classe dirigente.
M5S: ha fatto una campagna elettorale lasciando a casa Grillo, segno che la batosta di un anno fa alle europee ha lasciato il segno e, forse, ha anche insegnato qualcosa in termini di mera condotta politica sul campo. Resta però un dato di fatto: gli argomenti usati dai grillini, a cominciare dal cavallo di battaglia del reddito di cittadinanza, dati in pasto agli elettori senza fornire alcun dato certo su eventuali coperture finanziarie di tali operazioni, hanno il fiato corto e le gambe ancora più corte, come insegnano le loro esperienze di governo locale, dove sono stati sconfessati proprio sui temi che li avevano fatti vincere, un caso per tutti la storia dell'inceneritore a Parma. Dunque, questa fase apparentemente più matura del movimento - che peraltro in Parlamento continua a dire di no a tutto, tenendo congelati da due anni i propri voti - dovrà dare tangibili riscontri di una accresciuta consapevolezza politica per nutrire ambizioni di governo, e giova ricordare a quelli che oggi cantano vittoria che, in tutta evidenza, non esiste una regione governata dal M5S, dunque la vittoria per ora è da rimandarsi ad un futuro che, forse, potrebbe persino vederli al ballottaggio, se a destra non si creasse una lista unitaria, ma difficilmente li premierebbe in termini di effettiva credibilità come forza di governo.
Astensionismo: le ultime tornate elettorali hanno evidenziato che anche in Italia, sia pure con molto ritardo rispetto alle altre democrazie occidentali, si è manifestata una grande mobilità dei flussi elettorali. Il voto identitario che ha caratterizzato la Prima Repubblica, la contrapposizione tribale della Seconda Repubblica, sono finiti lasciando cumuli di macerie sotto forma di disaffezione ai partiti e di patente mancanza di credibilità della politica agli occhi degli elettori. In questo quadro, due cose risultano palesemente ridicole: che i rappresentanti delle passate stagioni ancora in attività siano quelli che alzano i lamenti più alti sul dato astensionistico, invece di fare mea culpa e riconoscere le proprie gravissime responsabilità nell'aver creato questa frattura con gli elettori; che si ignori l'astensionismo quando fa comodo - tipo esaltare Podemos senza dire che in Spagna ha votato il 49% degli aventi diritto - e lo si agiti come spettro di una crisi della democrazia quando invece si tratta di coprire le proprie responsabilità nell'averlo creato. Anche da questi espedienti di piccolissimo cabotaggio passa il giudizio di una classe politica fallimentare da cui i cittadini, non votandola, prendono le distanze.

ChiBo