sabato 31 gennaio 2015

Vincitore e vinti

L'ha fatto di nuovo. Ha spiazzato tutti, ha calato l'asso al momento giusto, soprattutto ha dimostrato doti di grande strategia politica, essendo uscito vincitore con una sola mossa perfetta da quello stesso Parlamento - stesso per traballante composizione e balzani umori - che seppellì Bersani alla prova delle elezione del Presidente e, contestualmente, archiviò definitivamente e nel peggiore dei modi la sua carriera politica. Comprensiva di tutte le ambizioni di cui era fatta.
Oggi, dall'elezione di Sergio Mattarella si evince un quadro chiarissimo e di univoca lettura, cosa rara, forse addirittura unica, in un paese in cui, in politica, tutti si dicono sempre vincitori ed il confine fra vittoria e sconfitta resta quasi sempre indeterminato e propizio a qualsiasi valutazione effimera e di parte. Oggi no, oggi la situazione è netta, anche per coloro che ancora non l'hanno capita, o fingono di non averlo fatto, e dunque si può riassumere così:

Vinti:
1- Grillo e M5S. La disastrosa conduzione di quest'ultima prova, ha certificato con estrema chiarezza, se ancora ce ne fosse bisogno, la loro sostanziale inutilità politica. L'isolamento autistico ed autoereferenziale in cui si sono volontariamente chiusi sin dall'inizio della loro avventura parlamentare, l'assenza di qualsiasi strategia politica unita alla evidente incapacità di elaborarne una, hanno prodotto soltanto il congelamento sterile dei voti - e sono tanti - e dunque degli elettori che dovrebbero rappresentare. Il balocco della consultazione popolare in Rete si è rotto per sua stessa intrinseca fragilità, la sola trovata di resuscitare fra i candidati Prodi, colui che ci portò dentro quell'euro dal quale i grillini vogliono uscire, ha testimoniato la pochezza di ragionamento, la debolezza fatale di un movimento che non ha teste pensanti ed ha esaurito la breve portata malpancista che lo aveva partorito. La discesa è già iniziata, le continue espulsioni, le scissioni avviate a livello territoriale, sono già in atto, ma ad oggi pare impensabile che si registri una ripresa in termini di credibilità politica per una forza che, fuori dall'urlo becero e dalla sparata populista, non ha saputo fin qui produrre una sola buona ragione della propria esistenza parlamentare.
2- dissidenti del Pd- i Kalimera Brothers cercavano il Papa straniero, senza aver mai capito di averlo già in casa. Come loro solito, hanno preso fischi per fiaschi, votando convinti Mattarella come prova vivente della fine dell'osceno Patto del Nazareno, oggetto dei loro incubi peggiori e delle loro presunte battaglie contro la deriva di destra a loro dire imposta da Renzi. Ora, da gente che non ne ha azzeccata una, e che coltiva da sempre una relazione stabile con la sconfitta, non si può pretendere una capacità anche basica di analisi politica, ma siccome qui siamo di buon cuore, gliela offriamo gratis al prossimo capoverso, sperando che impedisca loro di cadere dal pero al prossimo riprendere del patto per le riforme.
3- Berlusconi - Uno che non impara mai dai propri errori. Ha pensato di fare il furbo annunciando che la nomina del Presidente era compresa nel patto del Nazareno e non si è preoccupato della smentita - una, sola, secca - di Renzi. Ha creduto addirittura di poter recuperare l'antico rapporto di padronanza con senza quid Alfano, e di avere forza sufficiente a vincere una partita in cui, invece, ha sbagliato tutto sin dall'inizio. Dal primo grave errore, ovvero aver sottovalutato Renzi ed aver creduto che le divisioni interne al Pd fossero più gravi e soprattutto insuperabili di quelle di Forza Italia. Si è ritrovato col cerino in mano, il suo partito ancora più frammentato rispetto a pochi giorni prima, isolato in una debolezza che gli rende impossibile qualsiasi vera mossa ulteriore. Non può più andare all'opposizione, non sarebbe assolutamente credibile rispetto ad un Salvini che, comunque la si pensi sul personaggio, almeno ha tenuto ferma la sua posizione di avversità al governo Renzi. E non può uscire dal patto delle riforme detto Nazareno, perchè perderebbe l'ultima possibilità di ritagliarsi, almeno, un piccolo ruolo di padre della patria, sia pure all'ombra di Renzi. Non ha alternative, e chiunque pensi, dica e scriva che il patto del Nazareno è morto non sa quello che dice, oppure fa finta di non saperlo.
4- i luoghi comuni su Renzi. La lista è lunghissima: babbeo, ebetino, renzuschino, berluschino, ignorante, cazzaro, privo di idee, privo di strategie....continuate pure e scusate se ne manca qualcuno all'appello. La mossa perfetta, una ed una sola, con cui Renzi ha giocato e vinto la delicatissima partita del Quirinale, certo la prova più dura politicamente parlando, cui sia stato fin qui chiamato a rispondere, dimostra una volta per tutte come mai tutti coloro che, nel corso degli anni e nelle varie fasi della sua esperienza politica, lo hanno sottovalutato, sbeffeggiato e delegittimato con supponente spocchia, siamo stati tutti asfaltati da lui. Nessuno escluso.
Vincitore: uno solo, Matteo Renzi, naturalmente. Che ha capito perfettamente la lezione di due anni fa, che comportò la debacle finale di Bersani, e su quello ha ragionato. Proponendo un nome che mettesse tutti nelle condizioni di non poter non votarlo, invece di cadere nella solita trappola del candidato contro qualcuno ha cercato un candidato a favore di qualcosa, e su quello ha compattato tutti. Lucidamente consapevole che i dissidenti del Pd lo avrebbero votato pensando di fare uno sgarbo a Berlusconi; che il centrodestra si sarebbe ulteriormente spaccato ma mai allontanato troppo da lui, per l'intrinseca debolezza delle sue varie e velleitarie componenti; che nei confronti del paese, un Presidente costituzionalista in tempi di riforme istituzionali è davvero un garante degno di fiducia e di rispetto. Ha calcolato tutto, ha taciuto mentre impazzava il toto-nomi, ha smentito con i fatti la presunta intesa segreta del Nazareno, ed al momento giusto ha piazzato la mossa vincente, portando a casa la partita che non si esaurisce con l'elezione di Mattarella ma che certifica un risultato politico clamoroso. Una prova di lucidità e maturità che davvero richiama Machiavelli: golpe e lione, ovvero intelligenza e coraggio. Di questo tempi, uno così, ci serve davvero.

ChiBo

lunedì 26 gennaio 2015

Tsi-nistrati

A saperlo prima, ci saremmo dichiarati tutti greci già da mesi, evitando scontri politici accaniti quanto improduttivi, impasse parlamentari, minacce di scissioni e tutto l'armamentario che la "vera sinistra", quella irrimediabilmente affezionata alla sconfitta garantita, ha messo in campo dopo che alle elezioni del maggio scorso l'altra sinistra, quella inopinatamente finita in mano a Renzi, era invece riuscita clamorosamente a vincere, come mai prima nella propria storia. Una cosa inammissibile, perbacco, non si tradiscono così gloriose e consolidate tradizioni da perdenti.
E dunque, si sono alzate barricate da far invidia ai più ferventi giacobini, che mai ebbero fra le loro fila eroici combattenti del calibro di Mineo e Chiti, per dire, pronti ad immolarsi nella lotta per impedire l'abolizione del bicameralismo perfetto, e l'approvazione di una legge elettorale con soglia di sbarramento e premio di maggioranza, agitando impavidi la bandiera della democrazia in pericolo, minacciata addirittura nella sua stessa sopravvivenza. Intanto che altri giganti del pensiero politico, gente come Civati e Fassina, mica Cip e Ciop eh, denunciavano incessantemente l'orrido Patto del Nazareno per le riforme, e la coalizione di governo con un frammento di centrodestra, come prove sicure e certo scandalose di una deriva leaderista e fascista da contrastare con ogni mezzo.
Eppure, sarebbe bastato evocare Tsipras e la Grecia, possibilmente nella stessa frase, per evitare tutta questa agitazione; se a fine maggio, dopo il sonante risultato delle europee, Renzi avesse fondato la brigata Kalimera, invece di perder tempo ad abolire il Senato, per esempio, oggi dormirebbe fra due guanciali e certo si sarebbe risparmiato mesi di estenuanti diatribe sul nulla.
Perchè la Grecia è la soluzione, e Tsipras il suo profeta. La Grecia che ha un Parlamento monocamerale, una legge elettorale con soglia di sbarramento ed un premio di maggioranza che va al primo partito indipendentemente dalla percentuale di voti presa: ma tutto ciò è bellissimo, democraticissimo, anzi, ma vedi come si sono modernizzati 'sti greci, e non hanno neanche uno straccio di un Chiti a bastonarli perchè due camere sono necessarie - doppi servizi, inclusi, naturalmente.
E questo Tsipras, sì, che è un vero rivoluzionario, perbacco, dice che vuole cambiare verso all'Europa - ah vi sembra di averlo già sentito dire a qualcun altro?! Ma no, ma dai, magari in Italia avessimo uno così. Che vuole uscire dall'euro, ma anche no. Che vuole cancellare il debito, ma poi invece finirà per rinegoziarlo, che trascina le folle e governa da solo - chè leader, in greco, non è mica una parola che odora di fascsimo, per carità - anzi, no, fa l'accordo con la destra antieuropea, ma a questo proposito solo persone di provata e cieca malafede potrebbero sostenere che sia un governo con la destra, e per di più quella modello lepenista-salviniano che invece da noi sta all'opposizione, no, questo è un capolavoro di ingegneria  politica che rovescerà le sorti del mondo e traccerà una nuova via per il progresso di tutti noi.
Insomma, un trionfo, specie quando il consigliere economico di Tsipras ha dichiarato che vuol seguire il modello Renzi, ma questa frase è andato lost in translation nell'euforia dei festeggiamenti, figurarsi se Nichi, Pippo e Stefano, meglio noti come Kalimera's Brothers,  avrebbero mai fatto tanta strada per sostenere uno simile a quello che avevano già in casa loro senza peraltro esser riusciti a liberarsene.
No, la verità è che Tsipras è fortunato perchè gli accordi di Schengen non si applicano ai politici e vige ancora la regola che ognuno debba candidarsi in casa propria. Perchè se gli eroi della brigata Kalimera si fossero candidati con lui, il loro eroe avrebbe perso le elezioni clamorosamente ed ora si troverebbe costretto ad almeno due mesi di trattative in streaming con Civati a fare da pontiere. E da Kalimera a Kalispera, si sa, il passo è breve.

ChiBo  

lunedì 19 gennaio 2015

Cineserie

Grande è la confusione sotto il cielo, diceva Mao, ed avrebbe dovuto aggiungere che anche nella testa dei cinesi le idee, tanto chiare, non sono. Come si è incaricato di ricordarci il Cinese di casa nostra, al secolo Sergio Cofferati, mettendo insieme un campionario di contraddizioni e paradossi di rara complessità persino per le travagliate e non di rado schizofreniche vicende della politica italiana. Oggetto di tanta sofferta analisi, le primarie.
Ora, facendo un passo indietro, bisogna fare un minimo di chiarezza prima di addentrarsi nello strascico dell'ultimo episodio, quello ligure, per ricordare qualche passaggio fondamentale degli ultimi tempi in termini di utilizzo e regole delle primarie che, da strumento formidabile per la crescita e la selezione dal basso di una nuova leva politica, spesso sono diventate invece un campo minato che ha messo a dura prova lo stesso principio democratico che rappresentano.
Il Pd ha il merito di averle introdotte, unica forza politica a farlo nel nostro paese dove regna sovrana la cooptazione sulla base di valutazioni che quasi mai hanno a che vedere con la qualità e molto invece con la subalternità ad un leader, ad una corrente, ad un sistema, ma a questo merito non ha mai voluto dare solide basi, facendo inizialmente ridicole consultazioni con un candidato unico, ovvero la negazione evidente del principio di scelta che muove le primarie, e poi spaventandosi moltissimo delle conseguenze del voto laddove, con fatica e molte lotte interne, si cominciavano ad avere primarie vere, il cui riusato finale andava sempre a danno del candidato ufficiale del partito e premiava puntualmente l'outsider di turno.
Cosa che, all'interno di un soggetto politico solido e strutturato avrebbe naturalmente indotto una sana ed approfondita riflessione su un paio di temi scottanti, ovvero come mai il nostro candidato non è mai quello in sintonia con il territorio, e perchè il nostro elettorato premia invece un outsider, dunque questo avrebbe comportato una analisi del criterio di scelta e valutazione dei propri rappresentanti che, a sua volta, avrebbe determinato un ragionevole e ragionato cambiamento del criterio suddetto. Naturalmente, nel Pd che solido e strutturato non è mai stato, e neanche si è mai avvicinato ad esserlo, si è invece avviato un percorso opposto, ovvero come mettere ogni genere di limitazioni e paletti alle velleità di un elettorato indisciplinato onde evitare il successo di outsider indesiderati e pericolosi, e mantenere così il controllo sui territori amorevolmente affidati, in misura diversa, agli esponenti della quarantina di correnti interne al partito, tutte felicemente aventi diritto al proprio piccolo o grande feudo elettorale. Dunque, al vanto del tutto sterile del "noi siamo gli unici a fare le primarie perchè siamo democratici", non solo non ha fatto seguito una operazione di consolidamento di questo strumento, ma anzi si è affermata una forma di negazione della stessa libertà di scelta che ne costituisce il valore originario.
Emblematiche in questo senso, le primarie per il candidato Premier che videro battersi due anni fa Bersani e Renzi, quando la dirigenza del partito partorì un meccanismo di autentica mappatura genetica dei propri elettori, arrivando a chiedere la giustificazione con prove tangibili per la mancata partecipazione al primo turno, e sopratutto realizzando il più colossale controsenso mai visto nella storia delle democrazie occidentali, ovvero il fermo e lucido respingimento degli elettori dalle urne. Tutto ciò in nome di un principio che, in politica, parrebbe una sesquipedale follia, ovvero un restringimento perimetrale, per non dire ghettizzante, del proprio elettorato, ridotto per totale mancanza di senso di realtà quasi ai soli iscritti al partito, escludendo a priori di poter conquistare il consenso di nuovi sostenitori. La debacle rimediata alle elezioni politiche, nacque allora, e certo non poteva stupire che partendo  da presupposti tanto sbagliati si giungesse ad una fallimentare "non vittoria".
Ora, l'esigenza di una regolamentazione chiara e soprattutto di garanzie di trasparenza nei meccanismi di iscrizione e di voto alle primarie del Pd, è ancora evidente e non la si può in alcun modo nascondere o negare, se davvero si vuole non solo riaffermare il valore di questo strumento ma anche sperare che, garantendo davvero ai cittadini di poter scegliere i loro candidati - meccanismo molto più potente e sensato dell'illusorio voto di preferenza dato alle elezioni con liste già fatte da altri - questi vi si affezionino a tal punto da costringere tutti i partiti a praticarlo.
Ma la posizione di Cofferati è indifendibile, da qualunque punto di vista la si guardi. Nel momento in cui ha scelto di candidarsi, era perfettamente consapevole della penetrabilità del meccanismo, dunque aveva comunque già scelto di accettare il rischio, premesso che, avendo ricoperto ruoli non proprio secondari, politicamente parlando, avrebbe potuto da gran tempo mettere a disposizione del partito tutta la sua sapienza ed esperienza per migliorare le regole delle primarie, invece di fingere di cadere dal pero a sconfitta incassata.
Dunque, ha scelto di correre pensando che, se avesse vinto, avrebbe potuto dire di averlo fatto nonostante tutto, e se avesse perso avrebbe potuto dichiararsi vittima di un meccanismo falsato, ma nel primo caso non avrebbe rinunciato alla propria vittoria per amore di verità, temiamo. Avrebbe invece scelto di farsi testimone di una eroica vittoria contro il sistema che pure l'aveva generata. Un atteggiamento un tantino schizofrenico, a occhio.
E le sue dimissioni polemiche e rancorose, in nome di una purezza di principi da difendere sollevando opportuno e virtuoso scandalo, sono egualmente indifendibili, perchè se davvero si crede in qualcosa ci si batte stando dentro un partito e lavorando per cambiarlo in meglio, non si fugge perchè sconfitti ed offesi, rinnegando persino il valore di quelle scelta di democrazia insita nelle primarie cui si aveva deciso di partecipare. C'è una lezione dura e profonda nella sconfitta, che è quella che dimostra davvero la bontà di ciò che muove gli individui: se perdi, ti rialzi e continui per la tua strada, la tua buona fede è evidente e ne esce persino rafforzata, ma se perdi e scappi, incolpando le regole ed il tuo partito, allora vuol dire che hai corso per motivi che nulla hanno a che vedere con i principi ma molto con il solo tornaconto personale.
Il termine di paragone, in questo caso, è evidente e ce lo ricordiamo tutti perchè molto recente. Renzi perse contro Bersani, e prima ancora contro regole assurde, fece un bellissimo discorso della sconfitta, e poi si mise a disposizione del partito per tutta la campagna elettorale delle politiche. Se fosse scappato, non solo avrebbe perso faccia e credibilità, ma avrebbe tradito tutti coloro che lo avevano sostenuto in quella battaglia e che si riconoscevano nel Pd rappresentato da lui e dal suo programma e non da quello di Bersani. Quelli che sono tornati, e quanti, a votarlo un anno dopo alla primarie proprio come Segretario del partito.
Dunque, le cineserie vecchio stile di Cofferati non hanno più senso di esistere perchè non portano nulla di autentico e di utile al dibattito politico, men che meno depongono a favore della sua credibilità. Resta, certo, l'esigenza di affrontare una volta per tutte la regolamentazione e la trasparenza delle primarie, e questo è un compito di cui Segretario e dirigenza del Pd devono responsabilmente farsi carico, ma chiunque ci sia stato prima di loro negli anni, tacendo, anzi avallando, certi mostruosi pastrocchi del passato più o meno recente, abbia almeno la decenza di tacere.
E se proprio non possiede la nobile arte del saper perdere, si ingegni in quella dell'uscita di scena decorosa, senza rinnegare ciò che fino al giorno prima gli era andato benissimo al punto di farlo proprio tentando di cavalcarlo.

ChiBo

giovedì 8 gennaio 2015

Non possiamo non dirci laici

Ha ragione chi oggi scrive che quanto accaduto a Parigi è il nostro 11 Settembre, perchè ci colpisce nel fulcro della nostra civiltà che non risiede nel potere economico o politico, ma nel fondamentale assunto della libertà intesa come somma di tutte le libertà individuali capaci di tenersi insieme nel rispetto delle reciproche diversità. Quel "non la penso come te ma mi batterò fino alla morte perchè tu possa esprimere le tue idee" che è stata e resta la nostra più grande conquista, la nostra migliore prerogativa, la nostra unica concreta possibilità di salvezza dai totalitarismi di ogni genere, compresi quelli religiosi.
Dunque, è evidente che chi voglia minare le nostre vite dalle fondamenta, attenti alla nostra libertà principale, quella di espressione, madre di tutte le altre, e che miri al cuore della satira che esercita la sovversiva arte del riso e dello sberleffo che costituisce l'offesa più profonda per chi vive di paura, semina paura, predica paura, opprime con la paura e teme il ridicolo più di ogni altra cosa.
Nessuno è più libero di chi sa ridere, perchè per farlo occorre spirito critico, innanzi tutto - il più temibile avversario di ogni integralismo - e poi quella leva meravigliosa, leggerissima e ficcante insieme, che è l'ironia, strumento di lettura del reale a disposizione dell'intelligenza indagatrice. Nessuno è più schiavo di chi non sa ridere, e confonde la serietà con la paura, il ghigno persecutorio con la verità, ostentando sempre una faccia buia e ringhiosa come prova della propria inutile forza. Perchè senza libertà, la forza genera solo mostri, uccide ma non fortifica, devasta ma non costruisce, annienta ma non progredisce. Conquista terreno incolto solo per strisciarci sopra, ma non sa farne terra fertile capace di dare frutti.
La nostra storia, quella che rende l'Europa, pur con tutti i limiti, ancora e sempre una terra di libertà e di diritti, di tutele e di garanzie, è una conquista lenta, lunghissima, dolorosa e faticosa sul cammino che porta dal buio dell'oppressione alla luce, sia pure ricca di ombre, della democrazia. Abbiamo vissuto, combattuto e superato gli assolutismi di ogni genere, le monarchie, i regimi, il potere temporale della Chiesa, e lo abbiamo fatto con il più potente strumento a nostra disposizione, ovvero la costruzione, l'elaborazione e l'esercizio di un pensiero critico che è l'unico vero antidoto contro ogni forma di soggezione intellettuale, religiosa o politica che sia. Lo abbiamo fatto nel momento in cui abbiamo stabilito che la diversità di opinioni, fedi, convinzioni, non era il pericolo da combattere ma la nostra più grande risorsa, ciò che infine ci rende liberi tra liberi, capaci di convivere ognuno secondo le proprie idee, trovando un denominatore comune nella reciproca libertà di criticarle, opporvisi, combatterle sul terreno dell'argomentazione logica e dialettica, senza per questo imprigionare, condannare, uccidere, giustiziare nessuno in nome di una qualunque ortodossia assolutista.
Per questo, per difendere tutto questo, per ribadire i principi ed i valori della nostra civile convivenza, oggi più che mai non possiamo non dirci laici, di quella sana, felice, fertile laicità che è l'unica vera garanzia che possiamo offrire a tutti noi. Garanzia di libertà eguale fra diversi, di tutela e di rispetto, di rifiuto della paura e dell'oppressione, della minaccia e della schiavitù prima di tutto intellettuale che è quella che genera tutte le altre.
È la laicità che permette alle Costituzioni di dichiararci tutti uguali stabilendo il nostro diritto individuale a pensarla come ci pare, ed a farlo, a dirlo, a scriverlo, dipingerlo, disegnarlo, filmarlo senza essere perseguitati per questo. È la laicità che non stabilisce elenchi di cose proibite - libri, film, vignette, articoli - ma asserisce invece che tutto è passibile di critica, discussione, dibattito e controargomentazione, nell'ambito di un reciproco rispetto che si fonda sul riconoscimento del diritto di ciascuno ad avere una opinione diversa, che è l'elemento maggiormente destabilizzante per chi invece vuole imporre con l'unico strumento che ha a disposizione, la violenza cieca che genera paura, una ed una sola verità. E non importa che sia in nome di un dio, di una fede politica, di una qualunque teoria, l'ossessione del possesso di una mono-verità si manifesta sempre allo stesso modo, ed ha sempre e solo un principale nemico, la libertà di pensiero che genera invece molteplicità e ricchezza di posizioni diverse.
È la laicità che oggi dobbiamo difendere, non per bandire una nuova crociata religiosa, ma per ritrovare invece la forza di combattere una nuova potente battaglia intellettuale e culturale. Se ci pieghiamo alla logica censoria del "se la sono cercata, non si fanno vignette sull'Islam impunemente" rinunciamo per viltà e codardia intellettuali a difendere il valore fondante della nostra civiltà, quella profonda e necessaria necessità di confronto anche aspro, anche forte, anche provocatorio, che fa di noi persone in grado di misurarsi sul terreno delle nostre convinzioni fino ad arrivare ad una sintesi accettabile ai più.
Per cui difendere oggi la laicità non è una battaglia religiosa o contro una religione, che è la trappola riduttiva in cui non dobbiamo cadere, ma è invece una battaglia fondamentale contro qualunque assolutismo attenti alle nostre sofferte conquiste, tutte riassumibili nella  originaria libertà, vastissimo contenitore di concetti e, prima di tutto, responsabilità. Questo riafferma la laicità come necessaria ed imprescindibile: la nostra indiscutibile, gravosa, meravigliosa responsabilità di essere individui liberi, chiamati a pensare, agire, operare come tali. Con la consapevolezza che non è mai un dio a minacciarci, ma sempre un disegno buio ed opprimente di privazione di libertà.

ChiBo