lunedì 24 ottobre 2016

Zero pensieri, troppe parole

Siamo purtroppo ormai abituati, per non dire assuefatti e anche rassegnati, al quotidiano sperpero di parole diffuse a piene mani da chiunque sia in grado di digitare su una tastiera, fenomeno che i demagoghi trionfalmente hanno ribattezzato democrazia della Rete mentre ad una occhiata anche sommaria appare invece nient'altro che una sorta di "liberi tutti" mascherato da libertà di espressione. Ma l'ultima settimana è stata forse la peggiore, per la quantità e la "qualità" di commenti e reazioni in parte scatenate dagli eventi in corso, in parte conseguenti a prese di posizione esasperate perchè indifendibili razionalmente. E siccome ogni tanto è necessario fare un punto per capire dove siamo e come stiamo, il catalogo è questo:

Nuovi mostri: una pletora disumana ed incattivita di minus habens che ha preso di mira Bebe Vio, rea di essere stata invitata da Renzi alla cena alla Casa Bianca, dimostrando che non solo al peggio non c'è davvero fine ma soprattutto che l'odio coltivato come stile di vita crea cortocircuiti mentali che portano individui fisicamente sani ma mentalmente ottenebrati ad invidiare chi è stato pesantemente ferito nel corpo ma ha sviluppato magnificamente la testa. Chiedersi come siamo arrivati ad una tale deriva, non è una domanda retorica ma una precisa richiesta di analisi sociale ed anche politica, che dovrebbe essere seguita da una chiara assunzione di responsabilità. I seminatori di odio non hanno agito da soli, il loro vuoto strepitare è stato amplificato quotidianamente da un circo mediatico che campa perlopiù di risse e volgarità assortite, salvo tirarsi indietro fingendo uno sdegno posticcio e tardivo quando emergono i risultati desolanti della grancassa offerta ai ciarlatani.
Mai come ora, sarebbe necessario, opportuno ed eticamente rilevante tracciare una linea netta e del tutto priva di ambiguità tra diritto di cronaca e il buttarla in caciara per mezzo punto di audience in più. Non abbiamo mai avuto tanti talk show politici in tv come adesso, non siamo mai caduti in basso come adesso. Le due cose sono strettamente collegate, e prima se ne prenderà atto meglio sarà per tutti. La libertà di espressione è una grande responsabilità, come tale va rispettata, non svenduta sulla pubblica piazza per compiacere le tricoteuses assetate del sangue altrui.

Pseudo femministe rancorose: una schiera di erinni con la bava alla bocca che si è avventata contro Agnese Renzi, pretendendo non solo di farle la morale e di insegnarle a vivere secondo presunti dettami di correttezza, ma addirittura di stabilire con ferrea determinazione i paletti entro cui le sia consentito muoversi, a loro insindacabile giudizio, si intende. Da una attenta analisi di molti livorosi post sui Social, abbiamo evinto che:

- Agnese Renzi non dovrebbe lavorare, perchè ruba il posto a chi ha bisogno. Se proprio insiste a voler rubare il posto altrui, non dovrebbe accompagnare il marito in visita ufficiale, e mai e poi mai parlare con i propri alunni di codeste immorali attività extra scolastiche che corromperebbero irrimediabilmente giovani menti giustamente convinte che Pinochet sia venezuelano perchè l'hanno letto su Facebook in un post di Di Maio
- Agnese Renzi dovrebbe vergognarsi di essere stata precaria per molti anni e di essere entrata per concorso a scuola, ma soprattutto di non aver capito con almeno dieci anni di anticipo che suo marito sarebbe diventato Presidente del Consiglio e di non aver rinunciato a priori a costruirsi un percorso professionale del tutto inutile invece di fare la mantenuta in attesa di tempi migliori
- Agnese Renzi dovrebbe andare dal chirurgo plastico a rifarsi il naso come una Minetti qualunque, perbacco, invece di ostinarsi a portare a spasso la sua faccia al naturale, con incredibile mancanza di dignità
- Agnese Renzi dovrebbe vestirsi con un sacco e la cenere sopra il capo, modello penitente medievale, altro che promuovere il Made in Italy in giro per il mondo
- Agnese Renzi dovrebbe divorziare subito, anzi avrebbe già dovuto farlo da anni, il fatto che sia ancora accanto a suo marito dimostra solo il suo colpevole asservimento ai poteri forti ed alla lobby del maschio dominante

A corollario di questa imbarazzante esibizione di meschinità assortite, si può solo dire che se lo stato dello pseudo femminismo d'accatto in Italia è questo, se ne può fare serenamente a meno. Meglio ammettere con onestà che non abbiamo ancora superato l'ostilità feroce verso le altre donne, viste tutte come potenziali nemiche da abbattere, e tornare a coltivare con impegno rancori personali invece di continuare a spacciarli per improbabili moti di riscatto della categoria femminile. Ognuna per sè e si aprano le ostilità, chè di questa invidia pelosa e livida si può solo morire, e fra atroci sofferenze.

Teorici del nulla: vasta schiera di analfabeti funzionali sdoganati dal grillismo, ma anche dal salvinismo, pronti a lanciarsi in ogni campo dello scibile umano in preda ad un moto del tutto ingiustificato di autostima che li porta a credere di potersi pronunciare su tutto senza sapere nulla. Il danno prodotto da costoro è enorme, quantificabile in una percezione sempre più distorta di concetti fondamentali come bene comune, rilevanza sociale, etica politica, ormai ridotti a caricature abnormi e del tutto prive di aderenza al reale create appositamente come comodo specchio nel quale riconoscersi con compiacimento. Il risultato è evidente, nel desolante abbassamento del confronto quotidiano dove siamo costretti a spalare il fango sparso a piene mani da costoro, invece di riportare in primo piano le questioni di principio, di merito, di diritto, tutti concetti ormai stravolti, centrifugati e svuotati da questa incredibile macchina che ingoia tutto e restituisce solo sputi, quando va bene.
Avendo abolito ogni categoria di merito, questo è ciò che ci ritroviamo, con il colpevole concorso di decenni di politica corporativa e non selettiva, e di una stampa che strizza l'occhio a questi vandali invece di respingerli al mittente, nella vana quanto illusoria speranza di farseli amici e, perchè no, clienti affezionati.
Il dibattito sul referendum ha avuto l'effetto di una potente amplificazione, facendo emergere tali e tante espressioni di ignoranza, di settarismo cieco ed ottuso, di vero e proprio odio sociale, da capovolgere ogni punto di riferimento: siamo arrivati al paradosso di dover spendere le giornate a smontare le bufale prodotte in quantità da gente che non ha alcun argomento su cui fare leva, invece che confrontarci sui contenuti reali delle questioni in discussione.
Ma, alla fine, non era forse questo l'obbiettivo degli pseudo-guru che hanno scatenato questa offensiva della menzogna, non avendo idee da promuovere?
E quanto tempo, fatica, impegno, serietà e credibilità saranno necessarie per rimontare questa china fino a rivedere la luce del sano confronto di idee?
Anche questa è materia referendaria, ci impone di scegliere da che parte stare, se accodarsi alla massa becera ed urlante oppure sostenere un faticoso cammino di cambiamento, che ci faccia finalmente evolvere verso un sistema democratico più maturo dove sia la testa e non la pancia a prendere decisioni.
Perchè se questa bolgia di scempiaggini buttate nel mucchio e propalate per mero atto di fede nel personaggino di turno, se questa fede acritica nell'impossibile spacciato per realizzabile, se questa cieca e stolta ignoranza coltivata con tenacia avranno la meglio, il problema non sarà più avere o meno il bicameralismo perfetto, ma lasciarsi governare da una dittatura degli insipienti livorosi spacciata per democrazia popolare.
Pensateci su.

ChiBo

lunedì 10 ottobre 2016

Trump, l'effetto e la causa

Ormai, il dejavù impera. In qualunque competizione elettorale di qualche rilevanza nazionale o internazionale, assistiamo al ripetersi di un copione visto e rivisto mille volte da almeno un paio di decenni, che potrebbe riassumersi nell'altrettanto logoro ma purtroppo sempre valido esempio degli stolti che guardano al dito invece che alla luna.

Poco importa se il soggetto della discussione si chiami Berlusconi o Trump, quello che colpisce, e sconforta, e fa cadere le braccia, è il perpetuarsi di un meccanismo ostinato di rimozione del problema che preferisce vestirsi di anti-qualcuno invece che attivare analisi e risposte a favore di qualcosa. Specificamente, di soluzioni politiche efficaci e mirate, anche a costo di ripensamenti tanto dolorosi quanto necessari.

La campagna presidenziale americana, data la portata mondiale del suo esito, è solo il palcoscenico più vasto di una storia che ormai si ripete da tempo, e sembra costretta ad avvitarsi su se stessa, declinandosi in molte versioni che, di diverso, hanno solo il nome del candidato di turno elevato a pietra dello scandalo e ad oggetto del pubblico ludibrio, senza mai andare al cuore del problema.

Lo abbiamo visto bene in Italia, dove abbiamo vissuto vent'anni di antiberlusconismo sterile, isterico e giustizialista piuttosto che fermarci a chiedere quali colpe avesse la politica - tutta la politica, nessuno si senta escluso - nell'aver generato quel fenomeno. Berlusconi era l'effetto, non certo la causa, l'ultima decadente devianza di una politica chiusa in se stessa, del tutto autoreferenziale, completamente isolata, per propria arrogante volontà, dal rapporto con i cittadini, sprofondata nella palude del consociativismo spinto alle estreme conseguenze in modo che tutti fossero egualmente compromessi e quindi nessuno potesse legittimamente chiamarsene fuori.

Questa politica, del tutto priva di slancio, di coraggio, di progettualità, di idee e, non sia mai, di ideali al di fuori del rafforzamento e della conservazione di decennali rendite di posizione, fu presa di infilata da un demagogo affabulatore che ebbe l'unica felice intuizione nel presentarsi come l'uomo nuovo perchè nato fuori da quella stessa politica che in realtà lo aveva fatto nascere e prosperare. E gli isterismi di coloro che ne furono seppelliti, in termini di voti, e seppero reagire solo appellandosi a presunte e del tutto infondate superiorità morali da maestrini del rigore intellettuale, tentando di farlo fuori solo per vie giudiziarie e di pubblico discredito, non fecero che allungare la vita di una forza politica che in realtà aveva la stessa consistenza di un ologramma.

Abbiamo vissuto vent'anni di paralisi intorno a questo falso problema, quando quello vero era dato da due fondamentali tematiche: una sinistra vecchia, ancorata al passato ed incapace di darsi un afflato riformatore necessario ad affrontare le sfide del nuovo millennio; una destra moderna mai nata, incapace di uscire dallo stereotipo dell'uomo forte al comando, soprattutto del tutto priva di una intelaiatura culturale in grado di produrre contributi validi per il confronto politico.

Oggi, vediamo negli Stati Uniti il ripetersi dello stesso schema. Trump divide e suscita reazioni opposte, ma di pari intensità agonistica nell'odio o nella ammirazione con cui vengono formulate, ma di fatto anche lui è solo una conseguenza, e non certo la causa, di una situazione che si trascina da anni. La crisi profonda che attanaglia il partito repubblicano ormai da molto tempo è evidente e non da ora, la scelta di candidati del tutto inadeguati come Mac Cain e Romney, l'ascesa di personaggi duraturi come meteore, tipo la Palin o anche il presunto astro nascente ma mai cresciuto davvero Cruz, la deriva estremista dell'ala teocon saldata a quella dei teaparties, la sempre più pesante dipendenza da lobbies dominanti come quella dei fabbricanti di armi, hanno logorato e consumato dall'interno un partito che non sembra più in grado, se non in alcuni stati profondamente conservatori per non dire retrivi, di proporsi con credibilità alla guida della nazione.

Trump non ha fatto altro che approfittare di questa debolezza malata per salire sul palco, sapendo che non avrebbe avuto rivali. Ma la colpa non è sua che, anzi, ha fatto un calcolo preciso e pragmatico facendo tornare i propri conti. La colpa è di un partito talmente svuotato di contenuti politici, e sopratutto di capacità di progettazione e di visione strategica, da subire un candidato autoimposto, non avendo la forza intellettuale e culturale di produrne uno migliore, avendo completamente fallito nella ricerca e nella valorizzazione di risorse umane interne.

Che Trump sia nient'altro che un rozzo volgare cialtronissimo demagogo, è evidente. Che sia maestro nel dare il peggio in termini di razzismo, sessismo, populismo, anche. Ma che la ribalta gli sia stata offerta senza colpo ferire e senza opporre resistenza alcuna da un partito repubblicano ormai consunto e logoro è altrettanto chiaro. E se è vero che la Clinton non è la migliore dei competitors, è anche vero che il partito democratico in questi anni ha affrontato alla guida del paese la peggiore crisi economica mai vista, il terrorismo interno, la continua tensione razziale, mai sopita, persino i diritti civili, senza tirarsi indietro e senza fare leva sulla becera demagogia che pare l'unica risorsa rimasta invece ai repubblicani.

Dunque, anche qui la crisi non è data dalla malattia, ma dal sintomo che l'ha generata. E come accade in ogni democrazia, anche per quella americana la mancanza di una reale alternanza fondata su un efficace confronto politico è un danno, destinato solo a produrne altri. Passerà Trump, come passano gli uragani che esauriscono in breve tempo la loro portata distruttiva, ma resteranno, temiamo a lungo, tutti gli effetti devastanti prodotti dal suo cammino, finchè i repubblicani non saranno in grado di uscire dall'angolo dove si sono rinchiusi da soli, di lasciare fuori dalla porta gli estremismi, e di ricominciare a pensare in termini di strategia costruttiva per il bene comune. Che poi è ciò che chiede e che vuole la politica, quella vera.

ChiBo