lunedì 23 febbraio 2015

L'Oscar della supercazzola goes to...

La sindrome della sconfitta dissimulata, altrimenti nota come teorema della supercazzola prematurata con scappellamento a sinistra - solo perchè a destra, di questi tempi, non sanno più da che parte inchinarsi - produce sempre nuovi profeti, pronti a lanciare formule vaghissime e possibilmente senza senso alcuno solo per distrarre l'attenzione dalla propria comprovata inutilità. Maestri della narrazione del nulla, alcuni specializzati nello spettacolare rovesciamento di fronte - di solito, il proprio, prima sostenuto a spada tratta e poi testè rinnegato con invidiabile faccia di tolla - si sfidano ormai da decenni sul palco polveroso e logoro della politica italiana, ma è indubbio che negli ultimi tempi abbiano dato il meglio di sè, costretti come sono, dall'incalzare di eventi infausti che li vedono, chissà come mai, sempre dalla parte sbagliata, a continue acrobatiche capriole per smentire se stessi.
L'elenco degli esempi sarebbe lunghissimo, ma certo gli ultimi giorni sono stati particolarmente ricchi, tanto da richiedere un breve riepilogo per non perdersi nella ripetuta ed insistita azione di florilegi verbali che, in un attimo di distrazione, metterebbe chiunque a rischio di dubitare della propria sanità mentale. In sintesi, le nomination ed i vincitori all'Oscar della supercazzola prematurata:
Miglior cast: i Kalimera Brothers, meglio noti come la Compagnia della sconfitta assicurata. Accorsi in massa a sostegno dell'eroe greco, in meno di un mese ridotti al silenzio dall'inevitabile risultato dell'incontro-scontro fra Tsipras e la realtà, che ha visto la seconda nettamente vincitrice. A conferma che sparare panzane è facilissimo, ma governare è tutt'altra cosa, ed i programmi elettorali basati su promesse inattuabili non son più tanto di moda in tempi di vacche magre e debiti non più incoscientemente spalmabili sulle incolpevoli generazioni a venire.
Miglior attore non protagonista: colpo di scena con un ex equo, meritatissimo peraltro. Impossibile scegliere fra Civati, ormai messo in minoranza persino dalla minoranza tanto da rischiare di doversi fare opposizione da solo, e Fassina, che quando stava al governo con Letta dichiarava "le riforme si fanno con chi ci sta" ed oggi, dopo aver vomitato ettolitri di veleno sul patto del Nazareno, sostiene invece che "non si fanno le riforme da soli". La vera dannazione di entrambi, è di essere ormai buoni solo per i pastoni della giornata politica, gli sfottò sui Social e i titoli di quei geni di lercio.it ma totalmente ininfluenti sul piano politico. Comprimari per nascita, non protagonisti per totale mancanza di idee.
Miglior sceneggiatura: un autentico maestro dello storytelling, ovvero Gianni Cuperlo, il cui genio letterario ha partorito il miglior canovaccio politico a scoppio ritardato che si sia mai visto da queste parti. Il suo "bisogna ricucire con Forza Italia" all'indomani della rottura del patto del Nazareno, da lui fin lì collocato appena un filino sotto la cacciata dal Paradiso nella hit parade delle disgrazie capitate al genere umano, apre di diritto un nuovo filone narrativo, il "tutto e il contrario di tutto", per cui è già possibile prevedere un grande futuro alle riunioni del Circolo dei fulminati. Quelli che vivono al buio e pensano che la realtà sia un mero accidente da poter ignorare, basta spegnere la luce e dire "non l'avevo vista" perbacco.
Miglior attore protagonista: un solo nome, un solo vincitore, quel Landini sconfessato dai suoi stessi "protetti" che hanno preferito lavorare per sostenere la ripresa della propria azienda invece di scioperare, a Melfi come a Pomigliano d'Arco, a dimostrazione che le chiacchiere non fanno farina e non mantengono famiglie, il lavoro invece sì. E come ogni eroe, sconfitto ma non domo, che si rispetti, il nostro combattente delle cause perse si rilancia subito con un progetto meraviglioso, formare una "coalizione sociale per combattere democraticamente il governo Renzi" che non si sa che cosa sia, nè dove dovrebbe collocarsi, ma certo ha già vinto il premio per la miglior supercazzola con scappellamento a sinistra degli ultimi anni. Non sarà un partito nè un sindacato, ha chiarito da par suo Landini. Ecco, appunto, come se fosse antani.

ChiBo

lunedì 9 febbraio 2015

Moto, debiti e sex appeal

Quel gran genio del mio amico, con le mani sporche d'olio, è uscito dall'officina, è salito in moto ed è andato al governo. Chè in tempi di politica liquida, si sa, i quindici minuti di celebrità non si negano a nessuno. E nella compagine ad alto tasso di testosterone messa insieme da Tsipras - le donne, in Grecia, pare siano in pausa di riflessione dopo il casino combinato con la guerra di Troia - ci voleva un macho di pelle vestito a ricoprire il ruolo del vendicatore degli oppressi. Era dai tempi di Achille, che non si vedeva un eroe delle cause perse votarsi impavido a tale disperata impresa.
E quindi, eccolo qua, il nuovo sex symbol della Rete, è bastato che si presentasse a Downing Street con la camicia di fuori, di un blu elettrico atto a sottolineare il gesto ribelle, per di più, e con i bikers borchiati a suggerire che lui, in Inghilterra, c'è andato a cavallo della moto, mica in aereo, per scatenare l'ormone sonnolento del Vecchio Continente, rimasto fermo alla camicia bianca della new generation del Pse e del tutto impreparato alla botta adrenalinica dell'economista palestrato. Yanis Varoufakis è diventato di colpo il miglior prodotto da esportazione, e forse anche l'unico, a dire il vero, che la Grecia abbia mai avuto dai tempi delle navi triremi e degli otri di terracotta.
Il che deve avergli dato leggermente alla testa, spingendolo ad abbandonare ogni cautela ed a lanciarsi in dichiarazioni avventate quanto roboanti, come si conviene al nuovo Pelide che non teme nulla se non il proprio sconfinato orgoglio. Dunque, prima ha confidato che il suo paese è già fallito e che non ha di fatto un tessuto nè industriale nè manifatturiero, e poi ha difeso quello statalismo spinto ed indiscriminato che ha partorito l'enorme debito che strangola il paese come unica ricetta possibile per uscire dalla crisi.
Se l'avesse fatto un altro, sarebbe stato inchiodato al proprio paradosso, ma al nuovo sex symbol si perdona tutto. Persino quando, con raro sprezzo del pericolo, ed ancor più del ridicolo, si avventura sulle orme già percorse da Gheddafi a suo tempo, e spara con spavalda arroganza una richiesta di risarcimento alla Germania per un debito risalente a i tempi della seconda guerra mondiale. Ora, questa era l'arma prediletta del furbo dittatore libico che, a cadenze regolari, di solito quando voleva ottenere qualcosa, rilanciava la sua richiesta all'Italia riguardo ai danni della guerra.
Ma lui era Gheddafi, quella sorta di paraculesco incrocio fra Totò sceicco e Moira Orfei vestito da uno stilista in vena di eccessi psichedelici, dunque ci faceva ridere, come fanno ridere tutti i dittatori quando esibiscono l'irrestibile debolezza della loro vanità mai mitigata da una sana e democratica ironia, che richiede libertà per essere esercitata.
E dunque dovrebbe farci ridere anche Varoufakis, se non fosse che quella sua allure da selvaggio 2.0 con cui si è candidato al ruolo di nuovo Marlon Brando ne ha già fatto un'icona fashion, sexy e tremendamente radical chic nel gran circo della comunicazione da Social, sempre in cerca di immaginette da venerare per mascherare la propria intrinseca debolezza di pensiero.
Certo, la sua somiglianza con Checco Zalone è inquietante, ma infine ci rassicura. È un bravo ragazzo, dai, prima o poi scenderà dalla moto e si comprerà anche lui una station wagon. Tedesca, naturalmente.

ChiBo